E' l'inizio del 1979, esattamente oggi 5 gennaio dopo anni di suoni prove e nastri Prince decide che è tempo di uscire dal guscio e forma una band in fretta e furia inserendo l'amico d'infanzia André Cymone con Bobby Z, Dez Dickerson, Matt Fink e Gayle Chapman. Acerbo e ancora ragazzo poco più che 20enne sceglie la sua città per il debutto e più precisamente il Capri Theatre di Minneapolis, appunto.
Gli concedono due date (5/6 gennaio) biglietto MOLTO popolare a soli 4$ e incasso tutto per il teatro.
In compenso a lui già pensava la WarnerBros con cui aveva firmato un contratto tre anni prima a soli 17 anni e quella sera c'erano anche i dirigenti a giudicarlo.
Il piccolo Roger piace si ma è ancora "non pronto" e la sua performance non soddisfacente tanto suscitare seri dubbi sul futuro dell'accordo.
Alcuni dissero
“si pavoneggia troppo e imita le mosse del grande Mick Jagger"... "E' carino ma è presuntuoso e sfacciatamente troppo sexy"...
Fortunatamente per Prince (e per noi) i più saggi della compagnia ebbero la pazienza di attendere concedendogli tutto il tempo necessario anche perché nel 78 era già stato pubblicato l'album di debutto "For You" e sarebbe stato poco saggio (oltre che stupido) bruciare tutto alla prima uscita e impedire la nascita di una delle più grandi Star mai apparse sul pianeta!
che conoscevo solo come appassionato di musica e batterista
e non così profondamente ispirato
anche dall'Arte letteraria.
"Forse con l'italiano
si comunica in modo più diffuso il proprio pensiero, e l'inglese, la lingua universale per eccellenza,
può essere più adatto a comunicare in giro per il mondo;
eppure le cose che ci stanno più a cuore, le comunicazioni più profonde e sincere,
più intime ed importanti, non c'è inglese o italiano che le possano esprimere. Magari meglio funzionerebbe uno sguardo,
o una stretta della mano; un cenno d'intesa, una carezza, un bacio; o la lingua segreta della madre del bambino
fatta di suoni e di contatti, intonazioni di parole;
il dialetto arcano ed intraducibile del corpo nella sicurezza del cibo e del calore che rassicura. Per molti il dialetto è ancora questo
e proprio questa è la vera differenza con la lingua ufficiale
o con quelle universali e commerciali, fredde e più distanti dalle emozioni,
assunte dalle società per esternare le loro formalità. In effetti, a ben guardare,
ogni linguaggio usato dalla madre con il proprio bimbo è di per sé un dialetto".
Allora Silvano, per me sei una scoperta
spesso magari sappiamo tutto
di artisti dall'altra parte del mondo
e quasi niente di chi vive in mezzo a noi
quindi oggi devo colmare questa lacuna.
Ma andiamo per gradi.
Ti ho conosciuto come batterista in un gruppo e anche se ero un ragazzino
mi ricordo di quelle vostre camicie pazzesche
giù alla "piattaforma", il punto di riferimento
per musica balli e giochi all'aperto
degli anni 60/70
a chi vi eravate ispirati?
Più Beatles o Rolling Stones? O altri...
Ah! indubbiamente ai Rolling Stones.
Noi, i MOOV dico
- acronimo di - Magica Orchestra Orione Vega così ci chiamavano allora,
eravamo per la musica ribelle, innovativa,
e fuori degli schemi convenzionali. Ci piaceva il blues, quello vero, quello che parlava agli animi
e li scuoteva. Eric Burdon and the Animals ed i Rolling Stones
erano per tutti noi tra i preferiti. Poi, nel divenire, per la verità, sotto varie formazioni (Le Idee, Un'idea e Le Idee di Luca) ho suonato un po' tutti i generi, night compreso. Ricordo ancora, con un certo rammarico odierno,
che eravamo iconoclasti e non ci piacevano molto le foto, tant'è che pochissime, ahimè e purtroppo, ne ho conservate
a testimonianza di quel periodo. Ora ne sono molto dispiaciuto.
Hai imparato da autodidatta o studiando?
Rigorosamente da autodidatta.
Ricordo addirittura di aver battuto
i primi colpi di bacchetta su due tamburelli da spiaggia.
Il ritmo credo di averlo sempre avuto dentro, nella mia natura, nel mio battito ancestrale:
per me fu facile, debbo dire, seguirlo e coltivarlo. Solo qualche lezioncina di tecniche sui tempi,
soprattutto per le mani,
da parte del compianto Peppe Bruschi,
sempre frattigiano come me
e batterista specializzato soprattutto in musiche latine. Poi, per quanto riguarda i piedi, intendo dire, per capirci, cassa charleston contrattempi ecc.
credo di non aver mai avuto bisogno di altri insegnamenti: mi venivano da dentro
senza neanche pensarci un po', anzi quando non pensavo, venivano meglio.
Oggi per me il Silvano Poeta è una assoluta novità, esisteva già o è nato dopo?
Esisteva esisteva! Quella natura, che poi è la stessa perché anche nella musica c'è, o almeno ci può essere poesia; era già presente dopo che, bambino, persi mio padre. Scrissi i primi versi già a nove/dieci anni: certo ingenui,
certo un po' sgrammaticati e fanciulleschi, ma pur significativi e ricchi di pathos. Pensa che non ho mai avuto il coraggio di sbarazzarmene e li conservo ancora in archivio sotto il titolo di " Farfalle ". È in sostanza una raccolta inedita ed anche molto cospicua: pensa che si tratta di più di seicento poesie che sono state composte tra il lontano 1960 ed il 1970. Ancora oggi ogni tanto mi capita di rispolverare qualcuna di esse.
Hai qualche scrittore preferito che ha "segnato" la tua scelta?
Tanti, veramente. Sai, da adolescente ogni lettura,
ogni testo che si legge e che ci capita tra le mani può essere,
e di solito lo è, fortemente condizionante. Tra i più significativi e decisivi ricordo,
oltre i soliti autori per ragazzi ( Dickens, Molnár, De Amicis, Salgari ecc.) l'impatto, se pur scolastico,
che ebbe sulla mia formazione il Leopardi, ma anche la musicalità, prima un po' negletta, del Pascoli,
che dormiente, si conserva ancora riempendo di musiche
un po' malinconiche i miei contenuti poetici. E poi, straripante, Ungaretti, e ancora Montale,
Luzi, Calvino, Alfonso Gatto, Guido Ceronetti,
solo per citarne alcuni dei nostri connazionali. E tra gli internazionali, tra i maggiori su tutti Dostoevskij,
Marina Ivanovna Cvetaeva, Pasternak, Khelebnikov, Bloch, Evtushenko, ... che porteranno in seguito al mio approdo verso i "Sentieri tartari e marinari"
Quanti libri hai pubblicato finora?
Beh, pubblicati sono, se non erro, diciassette. Sei di questi sono scritti in dialetto frattigiano,
e tra questi anche l’ultimo recentissimo titolato "Armentóvime l mondo" .
Altri undici poi sono in lingua, per lo più trattano di poesia
e prosa poetica contemporanea, ma anche di satira politica e ambientale,
e ho anche scritto un atto unico teatrale (monologo con dialogo fuori campo)
dal titolo: "Alla ricerca del filo conduttore". E debbo confessarti, che, resti tra noi, vi annoierò ancora molto perché ho tanto materiale inedito da proporre. Per l' esattezza ben due nuovi testi e due riedizioni dialettali, ed un nuovo testo e tre riedizioni in lingua. Sarò lungo e spero non noioso,
parafrasando un detto delle nostre parti. Il fatto è che questo virus che ci ha costretti a casa non ha,
per fortuna, posto freno alla nostra fantasia ed alla creatività
e spero, ma forse invano, che possa agevolare ed incrementare anche la lettura di tutti voi. ( la vera lettura, naturalmente )
Sono decenni che parlano di crisi del libro che oggi è ancora più schiacciato dalla tecnologia credi che avrà ancora un futuro?
Spero. Voglio tanto sperare di sì. Spero tanto che la gente non perda di vista questo nutrimento che ci è concesso dalla parola,
e dal silenzio meditato che la circonda con la lettura. Spero tanto che la gente impari a discernere tra la lettura autentica, libera e consapevole e quella imposta,
mercificata, filtrata e standardizzata. Voglio sperare che si possa leggere quello che scegliamo e non solo quello che gli algoritmi del web
ci propongono e ci suggeriscono. E spero che anche l'editoria
faccia un passo in avanti in tale direzione fornendo meno promozioni e meno rilievo ai soliti noti; a coloro che hanno solo buoni canali di visibilità e scarni e inconsistenti contenuti. Lo stato stesso, nel dare il suo sostegno, dovrebbe indicare ed agevolare questo indirizzo
Già il tuo genere è veramente "di nicchia" poi scrivi anche dialetto... Ti piacciono le sfide !
Certo che mi piacciono! Debbo dire che amo anche vincerle
e di solito, tranne che con me stesso, mi riesce. La vera sfida comunque non sta nel contenitore che si propone, nell'involucro cioè in cui si cala e si avvolge la parola; che sia italiano o dialetto o inglese,
che siano versi sciolti o incatenati, rima o verso libero, siano musica danza oppure pittura: la vera sfida è la poesia. Id est - è la sostanza di ciò che si propone, il suo spessore, la sua "sentenza",
come gli antichi amavano appellarla. Io proprio questo ho inteso fare.
Il dialetto, in senso lato inteso come linguaggio intimo, è stato ed è per me solo uno dei tanti contenitori
ove ho "versato" i miei contenuti, l'essenza del mio sentire, ottenendo comunque
forse il duplice risultato di rinnovare, rianimare, rinfrescare, rinvigorire una lingua
dalle radici arcaiche e nobili che lo stesso Dante Alighieri citava ad esempio nel lontano 1307
nel suo "De vulgari eloquentia".
Altri contenitori da me usati nel mio percorso poetico sono, ad esempio, quelli classici delle "Eoliche del pensiero"
e cioè le strofe Saffiche ed i versi Alcaici, quelli esotici ed orientali
dei Tanka e degli Haiku, delle Ikebana nei "Soqquadri"
quelli tratti dalla letteratura russa e slava
dei "Sentieri tartari e marinari" ecc. Tutti i contenitori sono il contenente; ciò che conta è il contenuto, cioè la poesia in tutte le sue forme e parvenze.
Che ne pensi della situazione attuale come la stai vivendo?
Una situazione molto complessa, pregna di sofferta precarietà, e non mi riferisco solamente a quella economica
ma soprattutto a quella intima, psicologica ed esistenziale. Dobbiamo reagire, tutti quanti,
e trovare dentro di noi le risorse per farlo, per dare sostegno e forza interiore
(resilienza, la chiamano ora con un termine abusato);
...lo detesto...
dobbiamo insomma, come fanno i poeti,
guardare dentro per scovare la poesia che è in ognuno di noi per trovare nuove ripartenze
e ravvivare l’esistenza. Da parte mia, ho ancora molta "birra",
ho occhi che guardano lontano ed orecchie che ascoltano, ho dita che toccano il cielo
e bevo, tutto d'un fiato, ogni liquore e respiro ogni odore. Mi considero un privilegiato, ma non sono contento: vorrei che tutti avessero il privilegio di guardarsi dentro
e di trovarvi la poesia.
Tutto sommato siamo "fortunati" a vivere ancora alla Fratta... ma in quale posto vorresti essere nato o vorresti vivere adesso?
Siamo fortunatissimi, caro amico, ma spesso lo ignoriamo. Vivere qui, sotto la croce amica,
è di per sé un altro grande privilegio. Lontano dai crucci metropolitani,
alle frenesie dei traffici caotici
e dagli iperspazi che allontanano più del virus. Rispetto agli abitanti di altri luoghi,
ognuno di noi, tutto sommato, ha cambiato di poco le proprie abitudini,
l'organizzazione della propria vita. Ha comunque potuto respirare la stessa aria,
rafforzare le proprie radici e scoprire attorno a sé i propri cari
come mai li aveva visto e frequentati, ha ritrovato le proprie cose
che prima si era dimenticato di avere o che comunque avevano perso consistenza
e considerazione. Tutto questo
(e qui devo un tantino rivalutare una funzione positiva
svolta dai mezzi informatici)
senza cadere, o almeno cedere del tutto,
nella fobia collettiva dell'isolamento e dell'angoscia. Ma, al di là degli elogi, ricordiamoci tutti che i computer,
i tablet, gli smartphone i collegamenti WiFi, i videogame e tutte le nuove tecnologie del web sono,
e debbono continuare ad essere, solo dei mezzi e i mezzi possono essere,
e spesso lo sono, male utilizzati. Consideriamoli tali e non ci lasciamo condizionare più di tanto. Noi abbiamo il manico, il telecomando, l'interruttore.
Certo, però non lo usiamo
o lo usiamo male
a volte mi domando perché "lagggente"
si debba sottoporre a tanta sottomissione
e viverci dentro (i social) talmente dentro
che se non è "li dentro" non esiste
ma poi mi rendo conto che ormai la pervasività
del sistema che ci hanno imposto è fuori controllo
comanda i nostri bioritmi l'umore e le decisioni...
Dai, chiudiamo in moooseeekaaah... che genere ascolti oggi?
Tutta la buona musica di tutti i generi, dalla stessa lirica
ai rapper più interessanti. Di solito apprezzo molto il Jazz, da quello classico al free jazz,
poi, permettetemi il mio primo amore: il blues,
il rock anche quello duro e psichedelico, derivato, tanto per intenderci dai Led Zeppelin
o dagli equilibrismi visionari di Jimi Hendrix o dei Nirvana. E poi, i latini molto "chitarristi" alla Santana,
buoni melodici
(però mi disturba molto
la distorsione applicata alla voce molto in voga ora).
Al primo posto metto sempre comunque musicisti e compositori
come Nicola Capogrande, Enzo Restagno, Bollani, Allevi,
Ivan Fedeli e su tutti Fausto Romitelli che, a mio parere, è un apripista che favorisce l'integrazione
tra le distorsioni e i suoni amplificati del rock,
e la musica cosiddetta spettrale. Ho scritto anche di questo in un capitolo
sulle avanguardie artistiche contemporanee nel frontespizio dei miei "Soqquadri - la scompigliatura del significato"
Ok Ragazzo, complimenti! E qui c'è il brano che hai scelto...
Gli altri libri citati da Silvano:
"Sentieri tartari e marinari" (Gruppo Editoriale Locale 2018)
"Soqquadri" (Gruppo Editoriale Locale 2020)
"Eoliche del pensiero" (Gruppo Editoriale Locale 2020)
Ma è solo una data simbolica da dare in pasto a stampa e fans in realtà dietro le quinte la storia continuava anche se non più a suon di chitarre ma carte bollate...sperando poi di incollare i cocci.
Infatti oggi è il giorno in cui Paul McCartney ha intentato una causa contro il resto del gruppo e secondo i documenti del tribunale, la motivazione legale derivava dalla decisione presa (dagli altri) di nominare come nuovo manager Allan Klein (manager dei Rolling Stones).
McCartney non si fidava affatto di Klein e voleva che fossero i suoi nuovi suoceri, Lee e John Eastman, ad occuparsi degli affari. La causa ha richiesto più di quattro anni di udienze (neanche molti rispetto alle nostre...) sancendone lo scioglimento ufficiale