E' quasi mezzogiorno del 30 gennaio 1969 e quei mattacchioni dei Beatles bloccano traffico e passanti suonando il loro ultimo "concerto" in cima all'edificio della Apple Corps al n.3 di Savile Row, a Londra.
"Era già da un pezzo che stavamo pensando come chiudere in bellezza.
C'era l'idea di suonare dal vivo in qualche posto
e da tempo ci stavamo domandando dove saremmo potuti andare
magari al Palladium o nel deserto del Sahara.
Ma avremmo dovuto portarci dietro tutta la roba
così decidemmo: Saliamo sul tetto!"
(Ringo Starr)
Qualche giorno prima cominciarono a pensare al come/cosa buttando giù appunti e idee ma alla fine decisero di improvvisare. Solo la parte tecnica era stata curata tutto il resto lo avrebbero deciso...sul tetto. A proposito di tecnica, l'audio venne registrato impiegando due banchi da 8 piste posizionati nella cantina della Apple e il tecnico era un certo Alan Parsons mentre delle immagini si occupò il regista Michael Lindsay-Hogg che in seguito traspose in un film-documentario di 81 minuti ("Let It Be - Un giorno con i Beatles").
Con loro c'era anche Billy Preston al piano Fender che era stato "ingaggiato" da George Harrison per dare più energia all'evento. La playlist doveva prevedere almeno dieci pezzi ma "grazie" ai soliti residenti infastiditi e al traffico completamente paralizzato dalla folla furono i Bobbitt a decidere la scaletta lasciandoli esibire solo fino al quinto pezzo
Get Back
Don't Let Me Down
I've Got A Feeling
The One After 909 e Dig A Pony
Alla fine John Lennon salutò ironicamente con la frase:
"Vorrei dire 'Grazie' a nome del gruppo e noi stessi
16 gennaio 1957 Alan Sytner apre a Liverpool il Cavern Club. Si ispirò ai localini jazz frequentati a Parigi imitandone anche il nome. Si accorse infatti che molti usavano "Le Caveau" per ogni luogo anche semplici scantinati sotterranei o cantine vere e proprie così appena rientrò a Liverpool si mise subito in cerca di un posto simile ed il più adatto che riuscì a trovare fu un ex rifugio bellico al numero 10 di Mathew Street.
A differenza dei francesi però non si limitò al jazz ma estese le partecipazioni ai gruppi "skiffle" di tutta la regione e moltissimi esordienti arrivarono anche da Londra a suonare blues rock e soprattutto beat, il genere del momento. Dopo diversi esperimenti, la prima "Beat night" fu nel maggio del 60 con "Rory Storm and the Hurricanes" che avevano alla batteria un certo Ringo Starr. L'esordio dei Beatles fu il 21 febbraio 1961 e da quel giorno pestarono le tavole per altre 292 volte. In una di queste notti vennero avvicinati da Brian Epstein che presto li avrebbe tolti da quel palco (agosto 1963) e messi a contratto con la EMI Parlophone per lanciarli definitivamente in orbita. Al Cavern Club passarono ancora molti grandi artisti (Rolling Stones, Yardbirds, Kinks, Elton John, Who) ma nessuno di questi potè fermarne l'inevitabile declino nel maggio 73. Gli ultimi a suonare furono i Focus la ProgBand di Jan Akkerman. Del Cavern originale ormai non rimane quasi nulla. Fu semi demolito per poi riaprire nel 1984 in una specie di riproduzione evocativa del vecchio locale con parti di arredi e gli stessi mattoni originali. Oggi si fa ancora musica live ma è principalmente solo una meta turistica. Ogni agosto torna il cuore pulsante dell'International Beatle Week Festival durante il quale le tribute/cover band dei Beatles arrivano da tutto il mondo per esibirsi.
Oggi Fa parte di: Cavern Walks - Shopping Centre Indirizzo: 10 Mathew St, Liverpool L2 6RE, Regno Unito Telefono: +44 151 236 9091
Fu Peter Grant che aveva già collaborato con The Yardbirds
a "scommettere" su questi ragazzi preparando per loro
un contratto con la Atlantic e che contratto!
Spuntò una delle cifre più alte dell'epoca
per una band di esordienti, circa 200 mila dollari
ma evidentemente non ci voleva molto a riconoscere quei talenti
anche se non è sempre così scontato
i Beatles nel 62 vennero scartati dalla Decca
e bollati come incapaci e insipidi...
Conosciuto anche come "Led Zeppelin I"
fu registrato negli Olympic Studios a Barnes (Londra) in appena 36 ore di lavoro per un costo totale di sole 1.782 sterline quasi tutti i brani furono eseguiti in 'live-recording' con pochissime sovraincisioni.
E' diventato una pietra miliare del rock
battezzando Jimmy Page fra i chitarristi più forti al mondo.
Pietra miliare anche per la copertina ottenuta rielaborando un fotogramma del disastro del dirigibile "Zeppelin LZ 129 Hindenburg" avvenuto nel 1937.
Si narra che la nipote del Conte von Zeppelin
(Contessa Eva von Zeppelin)
dopo aver visto la copertina a Copenaghen nel 1970
minacciò di querelare il gruppo
per uso illegale del nome di famiglia
Citazioni:
"Sappiamo benissimo che stiamo facendo affari migliori
di... un sacco di gente che viene glorificata dalla stampa
(Rolling Stones) ma senza essere egocentrici
riteniamo che sia arrivato il momento in cui la gente
debba conoscere di noi cose diverse
dal fatto che ci cibiamo di donne
e ne gettiamo le ossa fuori dalle finestre".
(Robert Plant)
"Sono il fan dei Led Zeppelin più sfegatato del mondo.
La loro musica, il modo in cui si comportavano,
l'intera struttura di management - loro sono stati il modello.
I Queen suonavano sempre Immigrant Song durante le prove,
solo per lo splendore del suono".
(Brian May)
"Il suono che sentivo uscire da quelle casse, mentre cantavo,
era di gran lunga meglio di qualsiasi figa d'Inghilterra.
Era così sessuale, osceno, aveva così tanto potere...
insomma, era devastante".
(Robert Plant in -Il grande libro del rock e non solo-
Massimo Cotto 2011)
3 Libri da consigliare:
Federico Ballanti, Led Zeppelin, Roma, Lato Side Editori, 1982
Cesare Rizzi, Enciclopedia della musica rock.
1970-1979, Firenze, Giunti Editore, 1996
Massimo Cotto, Il grande libro del rock (e non solo), Rizzoli, 2011
In Vinile:
Lato A Good Times, Bad Times Babe I'm Gonna Leave You You Shook Me Dazed and Confused
Lato B Your Time Is Gonna Come Black Mountain Side Communication Breakdown I Can't Quit You Baby How Many More Times
Registrazione:
Olympic Studios di Londra,
settembre/ottobre 1968
Formazione:
Robert Plant - voce, armonica a bocca James Patrick Page - chitarra elettrica, chitarra acustica,
pedal steel guitar, cori John Paul Jones - basso, organo, cori John Bonham - batteria, timpani, cori
Altri musicisti: Viram Jasani - tabla
Disco d'oro - 22 luglio 1969 Inghilterra - Settimane in classifica: 150 USA - Settimane in classifica: 400
L'11 gennaio 1895 nasce Laurens Hammond il Padre, dell' Hammond.
Se siete fra quelli che ora pensano... "Che cavolo è sto "Hammond" forse è meglio che vi dedichiate ad altre letture a meno che, da bravi assetati non vogliate scoprirlo proprio adesso.
L'Hammond è l'Organo più famoso del mondo
chiunque faccia/abbia fatto musica
non può non conoscerlo...almeno nel suono.
Personalmente ne ho avuti tra le mani un paio
(modello B-3) purtroppo però sempre in studio
e mai dal vivo coi gruppi perché non solo costava tanto
ma PESAVA tanto (un quintale circa) più l'"accessorio"
il Leslie, un altro bell'armadietto che gli sedeva accanto
con dentro un ventolone che a seconda della velocità
poteva generare vibrati più o meno intensi e veloci.
Certo, oggi tutto è stato risolto dai sintetizzatori
che clonano alla perfezione qualsiasi Hammond
allora invece servivano almeno due persone
per il trasporto...e mezzo furgone solo per lui.
A parte questo "piccolo" dettaglio
è stato certamente il MUST per ogni tastierista
insieme al piano Fender/Rhodes e i primi Moog.
Quindi solo grazie Mr.Laurens!
Laurens Hammond, lo creò negli anni trenta e contrariamente a quanto si potrebbe immaginare non era affatto un musicista ma "solo" un geniale inventore e con solide basi di studio
laureato nel 1916 in ingegneria meccanica
alla Cornell University.
Era un americano dell'Illinois con grandi abilità tecniche fin da piccolo figlio di William Hammond fondatore della First National Bank e di Idea Louise Strong Hammond più propensa alle arti e alla musica.
Si cimentò in svariate invenzioni e brevetti e negli anni venti avviò anche una sua azienda produttrice di orologi elettrici e furono proprio gli orologi ad illuminarlo per il futuro sviluppo della tonewheel (ruota fonica) base fondamentale per il funzionamento dell'organo.
Hammond apprezzava gli effetti benefici della musica e voleva creare un mezzo abbastanza sofisticato da poter generare interesse e creatività ma anche accessibile a tutti.
Nel 1933 acquistò un vecchio pianoforte che cominciò a smontare pezzo per pezzo scartando tutto tranne la meccanica e la tastiera che usò come un controller per sperimentare la creazione/generazione del suono fino al timbro ottimale.
C'era solo un piccolo problema... non sapeva suonare e così incaricò il sig. W. L. Lahey suo contabile in azienda nonché organista della vicina St. Christopher's Episcopal Church di testare le varie fasi di sviluppo e messa a punto fino a raggiungere la qualità più elevata possibile di tocco ed esecuzione. Da sopraffino orologiaio quale era e con tutta la sua esperienza ingegneristica e meccanica ne scaturì un prodotto eccezionale fin da subito.
Laurens depositò il brevetto il 19 gennaio 1934. Era il tempo della "Grande Depressione" e anche per questo motivo l'ufficio brevetti fu solerte nella accettazione del progetto con la speranza che questa rivoluzionaria innovazione potesse generare nuovi posti di lavoro.
L'organo "Hammond" entrò in produzione
nel 1935 grazie alla nuova "Hammond Organ Company" di Evanston, Illinois. Da allora è il simbolo indiscusso tra i più popolari affidabili e duraturi strumenti mai costruiti. La tecnica dell' Hammond è basata sulla tecnologia del "Telharmonium" di Cahill del 1900 ma su scala molto più piccola.
Un organo a consolle Hammond comprendeva due tastiere a 61 tasti, il Lower, o Great e l' Upper, o Swell con una pedaliera composta da 25 tasti per l'uso comune o 32 nella versione da concerto. Hammond ha anche brevettato un riverbero elettromeccanico che utilizza la torsione elicoidale di una molla a spirale ampiamente copiato in strumenti elettronici successivi spingendosi fino ai sintetizzatori sviluppando uno dei primi prototipi della storia
(Novachord) poi abbandonato a causa dell'elevata complessità e costi di realizzazione. Ormai era attivo in ogni settore della nuova ingegneria meccanica fino allo sviluppo dei controlli per i missili teleguidati grazie a cui gli fu riconosciuto il brevetto dei sensori all'infrarosso e luminosi per la guida delle bombe e tanti altri brevetti successivi.
Oltre ad essere uno strumento di intrattenimento casalingo l'Hammond diventò popolare anche tra musicisti Jazz e blues e soprattutto rock, fino alla fine degli anni '70 (Keith Emerson, Procol Harum, Led Zeppelin, The Allman Brothers Band, The Faces, Deep Purple) ma è stato utilizzato anche da musicisti "seri" come Karlheinz Stockhausen in "Mikrophonie II".
E' l'inizio del 1979, esattamente oggi 5 gennaio dopo anni di suoni prove e nastri Prince decide che è tempo di uscire dal guscio e forma una band in fretta e furia inserendo l'amico d'infanzia André Cymone con Bobby Z, Dez Dickerson, Matt Fink e Gayle Chapman. Acerbo e ancora ragazzo poco più che 20enne sceglie la sua città per il debutto e più precisamente il Capri Theatre di Minneapolis, appunto.
Gli concedono due date (5/6 gennaio) biglietto MOLTO popolare a soli 4$ e incasso tutto per il teatro.
In compenso a lui già pensava la WarnerBros con cui aveva firmato un contratto tre anni prima a soli 17 anni e quella sera c'erano anche i dirigenti a giudicarlo.
Il piccolo Roger piace si ma è ancora "non pronto" e la sua performance non soddisfacente tanto suscitare seri dubbi sul futuro dell'accordo.
Alcuni dissero
“si pavoneggia troppo e imita le mosse del grande Mick Jagger"... "E' carino ma è presuntuoso e sfacciatamente troppo sexy"...
Fortunatamente per Prince (e per noi) i più saggi della compagnia ebbero la pazienza di attendere concedendogli tutto il tempo necessario anche perché nel 78 era già stato pubblicato l'album di debutto "For You" e sarebbe stato poco saggio (oltre che stupido) bruciare tutto alla prima uscita e impedire la nascita di una delle più grandi Star mai apparse sul pianeta!
che conoscevo solo come appassionato di musica e batterista
e non così profondamente ispirato
anche dall'Arte letteraria.
"Forse con l'italiano
si comunica in modo più diffuso il proprio pensiero, e l'inglese, la lingua universale per eccellenza,
può essere più adatto a comunicare in giro per il mondo;
eppure le cose che ci stanno più a cuore, le comunicazioni più profonde e sincere,
più intime ed importanti, non c'è inglese o italiano che le possano esprimere. Magari meglio funzionerebbe uno sguardo,
o una stretta della mano; un cenno d'intesa, una carezza, un bacio; o la lingua segreta della madre del bambino
fatta di suoni e di contatti, intonazioni di parole;
il dialetto arcano ed intraducibile del corpo nella sicurezza del cibo e del calore che rassicura. Per molti il dialetto è ancora questo
e proprio questa è la vera differenza con la lingua ufficiale
o con quelle universali e commerciali, fredde e più distanti dalle emozioni,
assunte dalle società per esternare le loro formalità. In effetti, a ben guardare,
ogni linguaggio usato dalla madre con il proprio bimbo è di per sé un dialetto".
Allora Silvano, per me sei una scoperta
spesso magari sappiamo tutto
di artisti dall'altra parte del mondo
e quasi niente di chi vive in mezzo a noi
quindi oggi devo colmare questa lacuna.
Ma andiamo per gradi.
Ti ho conosciuto come batterista in un gruppo e anche se ero un ragazzino
mi ricordo di quelle vostre camicie pazzesche
giù alla "piattaforma", il punto di riferimento
per musica balli e giochi all'aperto
degli anni 60/70
a chi vi eravate ispirati?
Più Beatles o Rolling Stones? O altri...
Ah! indubbiamente ai Rolling Stones.
Noi, i MOOV dico
- acronimo di - Magica Orchestra Orione Vega così ci chiamavano allora,
eravamo per la musica ribelle, innovativa,
e fuori degli schemi convenzionali. Ci piaceva il blues, quello vero, quello che parlava agli animi
e li scuoteva. Eric Burdon and the Animals ed i Rolling Stones
erano per tutti noi tra i preferiti. Poi, nel divenire, per la verità, sotto varie formazioni (Le Idee, Un'idea e Le Idee di Luca) ho suonato un po' tutti i generi, night compreso. Ricordo ancora, con un certo rammarico odierno,
che eravamo iconoclasti e non ci piacevano molto le foto, tant'è che pochissime, ahimè e purtroppo, ne ho conservate
a testimonianza di quel periodo. Ora ne sono molto dispiaciuto.
Hai imparato da autodidatta o studiando?
Rigorosamente da autodidatta.
Ricordo addirittura di aver battuto
i primi colpi di bacchetta su due tamburelli da spiaggia.
Il ritmo credo di averlo sempre avuto dentro, nella mia natura, nel mio battito ancestrale:
per me fu facile, debbo dire, seguirlo e coltivarlo. Solo qualche lezioncina di tecniche sui tempi,
soprattutto per le mani,
da parte del compianto Peppe Bruschi,
sempre frattigiano come me
e batterista specializzato soprattutto in musiche latine. Poi, per quanto riguarda i piedi, intendo dire, per capirci, cassa charleston contrattempi ecc.
credo di non aver mai avuto bisogno di altri insegnamenti: mi venivano da dentro
senza neanche pensarci un po', anzi quando non pensavo, venivano meglio.
Oggi per me il Silvano Poeta è una assoluta novità, esisteva già o è nato dopo?
Esisteva esisteva! Quella natura, che poi è la stessa perché anche nella musica c'è, o almeno ci può essere poesia; era già presente dopo che, bambino, persi mio padre. Scrissi i primi versi già a nove/dieci anni: certo ingenui,
certo un po' sgrammaticati e fanciulleschi, ma pur significativi e ricchi di pathos. Pensa che non ho mai avuto il coraggio di sbarazzarmene e li conservo ancora in archivio sotto il titolo di " Farfalle ". È in sostanza una raccolta inedita ed anche molto cospicua: pensa che si tratta di più di seicento poesie che sono state composte tra il lontano 1960 ed il 1970. Ancora oggi ogni tanto mi capita di rispolverare qualcuna di esse.
Hai qualche scrittore preferito che ha "segnato" la tua scelta?
Tanti, veramente. Sai, da adolescente ogni lettura,
ogni testo che si legge e che ci capita tra le mani può essere,
e di solito lo è, fortemente condizionante. Tra i più significativi e decisivi ricordo,
oltre i soliti autori per ragazzi ( Dickens, Molnár, De Amicis, Salgari ecc.) l'impatto, se pur scolastico,
che ebbe sulla mia formazione il Leopardi, ma anche la musicalità, prima un po' negletta, del Pascoli,
che dormiente, si conserva ancora riempendo di musiche
un po' malinconiche i miei contenuti poetici. E poi, straripante, Ungaretti, e ancora Montale,
Luzi, Calvino, Alfonso Gatto, Guido Ceronetti,
solo per citarne alcuni dei nostri connazionali. E tra gli internazionali, tra i maggiori su tutti Dostoevskij,
Marina Ivanovna Cvetaeva, Pasternak, Khelebnikov, Bloch, Evtushenko, ... che porteranno in seguito al mio approdo verso i "Sentieri tartari e marinari"
Quanti libri hai pubblicato finora?
Beh, pubblicati sono, se non erro, diciassette. Sei di questi sono scritti in dialetto frattigiano,
e tra questi anche l’ultimo recentissimo titolato "Armentóvime l mondo" .
Altri undici poi sono in lingua, per lo più trattano di poesia
e prosa poetica contemporanea, ma anche di satira politica e ambientale,
e ho anche scritto un atto unico teatrale (monologo con dialogo fuori campo)
dal titolo: "Alla ricerca del filo conduttore". E debbo confessarti, che, resti tra noi, vi annoierò ancora molto perché ho tanto materiale inedito da proporre. Per l' esattezza ben due nuovi testi e due riedizioni dialettali, ed un nuovo testo e tre riedizioni in lingua. Sarò lungo e spero non noioso,
parafrasando un detto delle nostre parti. Il fatto è che questo virus che ci ha costretti a casa non ha,
per fortuna, posto freno alla nostra fantasia ed alla creatività
e spero, ma forse invano, che possa agevolare ed incrementare anche la lettura di tutti voi. ( la vera lettura, naturalmente )
Sono decenni che parlano di crisi del libro che oggi è ancora più schiacciato dalla tecnologia credi che avrà ancora un futuro?
Spero. Voglio tanto sperare di sì. Spero tanto che la gente non perda di vista questo nutrimento che ci è concesso dalla parola,
e dal silenzio meditato che la circonda con la lettura. Spero tanto che la gente impari a discernere tra la lettura autentica, libera e consapevole e quella imposta,
mercificata, filtrata e standardizzata. Voglio sperare che si possa leggere quello che scegliamo e non solo quello che gli algoritmi del web
ci propongono e ci suggeriscono. E spero che anche l'editoria
faccia un passo in avanti in tale direzione fornendo meno promozioni e meno rilievo ai soliti noti; a coloro che hanno solo buoni canali di visibilità e scarni e inconsistenti contenuti. Lo stato stesso, nel dare il suo sostegno, dovrebbe indicare ed agevolare questo indirizzo
Già il tuo genere è veramente "di nicchia" poi scrivi anche dialetto... Ti piacciono le sfide !
Certo che mi piacciono! Debbo dire che amo anche vincerle
e di solito, tranne che con me stesso, mi riesce. La vera sfida comunque non sta nel contenitore che si propone, nell'involucro cioè in cui si cala e si avvolge la parola; che sia italiano o dialetto o inglese,
che siano versi sciolti o incatenati, rima o verso libero, siano musica danza oppure pittura: la vera sfida è la poesia. Id est - è la sostanza di ciò che si propone, il suo spessore, la sua "sentenza",
come gli antichi amavano appellarla. Io proprio questo ho inteso fare.
Il dialetto, in senso lato inteso come linguaggio intimo, è stato ed è per me solo uno dei tanti contenitori
ove ho "versato" i miei contenuti, l'essenza del mio sentire, ottenendo comunque
forse il duplice risultato di rinnovare, rianimare, rinfrescare, rinvigorire una lingua
dalle radici arcaiche e nobili che lo stesso Dante Alighieri citava ad esempio nel lontano 1307
nel suo "De vulgari eloquentia".
Altri contenitori da me usati nel mio percorso poetico sono, ad esempio, quelli classici delle "Eoliche del pensiero"
e cioè le strofe Saffiche ed i versi Alcaici, quelli esotici ed orientali
dei Tanka e degli Haiku, delle Ikebana nei "Soqquadri"
quelli tratti dalla letteratura russa e slava
dei "Sentieri tartari e marinari" ecc. Tutti i contenitori sono il contenente; ciò che conta è il contenuto, cioè la poesia in tutte le sue forme e parvenze.
Che ne pensi della situazione attuale come la stai vivendo?
Una situazione molto complessa, pregna di sofferta precarietà, e non mi riferisco solamente a quella economica
ma soprattutto a quella intima, psicologica ed esistenziale. Dobbiamo reagire, tutti quanti,
e trovare dentro di noi le risorse per farlo, per dare sostegno e forza interiore
(resilienza, la chiamano ora con un termine abusato);
...lo detesto...
dobbiamo insomma, come fanno i poeti,
guardare dentro per scovare la poesia che è in ognuno di noi per trovare nuove ripartenze
e ravvivare l’esistenza. Da parte mia, ho ancora molta "birra",
ho occhi che guardano lontano ed orecchie che ascoltano, ho dita che toccano il cielo
e bevo, tutto d'un fiato, ogni liquore e respiro ogni odore. Mi considero un privilegiato, ma non sono contento: vorrei che tutti avessero il privilegio di guardarsi dentro
e di trovarvi la poesia.
Tutto sommato siamo "fortunati" a vivere ancora alla Fratta... ma in quale posto vorresti essere nato o vorresti vivere adesso?
Siamo fortunatissimi, caro amico, ma spesso lo ignoriamo. Vivere qui, sotto la croce amica,
è di per sé un altro grande privilegio. Lontano dai crucci metropolitani,
alle frenesie dei traffici caotici
e dagli iperspazi che allontanano più del virus. Rispetto agli abitanti di altri luoghi,
ognuno di noi, tutto sommato, ha cambiato di poco le proprie abitudini,
l'organizzazione della propria vita. Ha comunque potuto respirare la stessa aria,
rafforzare le proprie radici e scoprire attorno a sé i propri cari
come mai li aveva visto e frequentati, ha ritrovato le proprie cose
che prima si era dimenticato di avere o che comunque avevano perso consistenza
e considerazione. Tutto questo
(e qui devo un tantino rivalutare una funzione positiva
svolta dai mezzi informatici)
senza cadere, o almeno cedere del tutto,
nella fobia collettiva dell'isolamento e dell'angoscia. Ma, al di là degli elogi, ricordiamoci tutti che i computer,
i tablet, gli smartphone i collegamenti WiFi, i videogame e tutte le nuove tecnologie del web sono,
e debbono continuare ad essere, solo dei mezzi e i mezzi possono essere,
e spesso lo sono, male utilizzati. Consideriamoli tali e non ci lasciamo condizionare più di tanto. Noi abbiamo il manico, il telecomando, l'interruttore.
Certo, però non lo usiamo
o lo usiamo male
a volte mi domando perché "lagggente"
si debba sottoporre a tanta sottomissione
e viverci dentro (i social) talmente dentro
che se non è "li dentro" non esiste
ma poi mi rendo conto che ormai la pervasività
del sistema che ci hanno imposto è fuori controllo
comanda i nostri bioritmi l'umore e le decisioni...
Dai, chiudiamo in moooseeekaaah... che genere ascolti oggi?
Tutta la buona musica di tutti i generi, dalla stessa lirica
ai rapper più interessanti. Di solito apprezzo molto il Jazz, da quello classico al free jazz,
poi, permettetemi il mio primo amore: il blues,
il rock anche quello duro e psichedelico, derivato, tanto per intenderci dai Led Zeppelin
o dagli equilibrismi visionari di Jimi Hendrix o dei Nirvana. E poi, i latini molto "chitarristi" alla Santana,
buoni melodici
(però mi disturba molto
la distorsione applicata alla voce molto in voga ora).
Al primo posto metto sempre comunque musicisti e compositori
come Nicola Capogrande, Enzo Restagno, Bollani, Allevi,
Ivan Fedeli e su tutti Fausto Romitelli che, a mio parere, è un apripista che favorisce l'integrazione
tra le distorsioni e i suoni amplificati del rock,
e la musica cosiddetta spettrale. Ho scritto anche di questo in un capitolo
sulle avanguardie artistiche contemporanee nel frontespizio dei miei "Soqquadri - la scompigliatura del significato"
Ok Ragazzo, complimenti! E qui c'è il brano che hai scelto...
Gli altri libri citati da Silvano:
"Sentieri tartari e marinari" (Gruppo Editoriale Locale 2018)
"Soqquadri" (Gruppo Editoriale Locale 2020)
"Eoliche del pensiero" (Gruppo Editoriale Locale 2020)