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25 aprile 2020

Ciao Bella!




Churchill, Roosevelt, Stalin


Festeggiamo e ringraziamo, ma ringraziamoli TUTTI
anche e soprattutto il "trio" qui insieme a Jalta nel febbraio '45
e sgombrando subito ogni dietrologia dei retroscenisti d'assalto
che ancora oggi si accapigliano nel loro brodo
polemico e stantio su chi abbia invaso
prima, cosa e chi e quando e come...

Festeggiamo e ringraziamo si i "Partigiani"
ma ringraziamoli TUTTI e non di un solo colore:
Brigata Maiella, Brigata Garibaldi, Giustizia e Libertà,
Fiamme Verdi, Brigate Osoppo, Brigate Bruzzi-Malatesta,
Brigate Matteotti, Formazioni Autonome.

Festeggiamoli certo, ma quanta retorica revisionista
che bolla tutti come revisionisti se non canti insieme a loro!
Ma cosa canti? Piangere dovresti, non cantare.
Piangere dei crimini di morte,
violenza, stupro, tortura, nascosti da quei bei nomi
e dalle sigle di cui sopra
commessi alla stessa stregua
e con la stessa ferocia nazi-fascista.
Certo, nulla di paragonabile
in quanto a numero
e non voglio far di tutta l'erba UN FASCIO
ma nulla di diverso 
quanto a crudeltà.  
Era già "sangue e merda" 
come disse molti anni dopo Rino Formica
riferendosi alla politica
(oggi direbbe che è solo merda)
e attinsero sia dall'uno che dall'altra
perché "legittimati dagli eventi"
o "migliori" (solito vizio desinistra).
"bella ciao"... Bella ciao un cazzo!

E ora, tolte le briciole dal tavolo
se l'Italia e "LEUROPAH" uscirono dall'incubo
fu grazie agli Stati Uniti che di concerto con tutti gli "Alleati"
sconfissero la Wehrmacht di Hitler.

Il 7 maggio 1945 per mano del generale Alfred Jodl
si firmò la resa totale e incondizionata della Germania
a Reims, sede del quartier generale dello SHAEF
(Supreme Headquarters Allied Expeditionary Force)
diretto da Dwight David Eisenhower, generale designato
direttamente dal presidente Roosevelt.

Allo stesso modo fu vitale quello che successe dopo
perché non bastava essere liberi, bisognava non esser poveri.
E si che lo eravamo!
Sia dalle testimonianze storiche che da quelle dirette e
oculari di nonni e genitori sappiamo bene
che quasi nessuno si sarebbe mai rialzato da solo
senza il fondamentale e concreto
sostegno economico del "Piano Marshall".

Basterebbe solo questo nome "Piano Marshall",
ideato dal George Catlett Marshall
principale consigliere militare della Casa Bianca
per ringiovanire gli smemorati cervelli degli astanti,
tedeschi inclusi, che oltre ad essere stati gli autori materiali
di tutta lammmerda mondiale poi ne furono anche
tra i maggiori beneficiari (vedi tabella).

E' di quella illuminata concretezza 
che avremmo bisogno oggi, adesso, ora 
e non di questo fastidioso ronzio propagandistico 
del MES, BEI, SURE, RECOVERY
e inesistenti e virtualissimi MIARDI.
Non so voi ma io almeno per ora, di elicotteri che pisciano banconote
non ne vedo, tantomeno BODENZE DI FUOGO!

 
Ergo, non eravamo non siamo...
e non saremo MAI LIBERI 
cosa avete da cantare?
Cosa c'è da festeggiare?


CIAO BELLA! 


*

E ora, sgomberate le briciole dal tavolo, sgomberiamo anche il tavolo.
Vi lascio un brano della regina dei giornalisti, Oriana Fallaci.
Qui intervista Pertini, il mio unico e indimenticabile Presidente 
il mio preferito, nonché giornalista, nonché politico, nonché ...Partigiano.



Roma, 27 dicembre 1973



Lo so. Lo sanno tutti. 
Nessuno parla male di Pertini. 
Nemmeno gli avversari, i nemici.
Sì, ed è una consolazione 
come il giorno in cui Leto… Leto, 
il capo dell’OVRA. 
Molto intelligente, molto preparato, 
anche se era il capo dell’OVRA: 
lo dica pure. Del resto nessuno 
è più informato di lui 
sugli uomini politici italiani. 
Ebbene, il giorno in cui 
mi consegnò i documenti 
che ho usato per il mio libro. 

Sei condanne e due evasioni, 
Leto ci appoggiò le mani sopra 
ed esclamò: «Pertini, bisogna dire 
che non c’è mai stata 
un’oscillazione nella sua condotta. 
Non c’è proprio nulla da dire 
contro di lei, non c’è un neo 
in tutta la sua vita». 
Però ho pagato così duramente, Oriana. 
Ho pagato anche con la morte 
di due fratelli… 

No, non ho alcuna difficoltà a parlare 
di quello che s’era iscritto 
al Partito Fascista. 
Lo amavo tanto… Eravamo due amici 
prima che due fratelli… 
Avevamo fatto insieme 
la prima guerra mondiale 
e… Pippo era molto diverso da me. 
Era estroverso, cordiale, 
e non capiva nulla di politica. Nulla. 
Sa perché si iscrisse 
al Partito Fascista, nel 1923? 

Perché, durante una manifestazione, 
si vide sputare addosso dagli operai. 
Faceva l’ufficiale di carriera e… 
Il destino. 
Ci togliemmo reciprocamente il saluto. 
Se per caso ci incontravamo per strada, 
io guardavo da una parte 
e lui dall’altra. 
Se io andavo da mia madre, 
lui non ci andava. 
Se lui andava da mia madre, 
io non ci andavo. 

Per non vederci. Gli riparlai 
soltanto nel 1925, 
dopo che ero stato arrestato 
e processato a Savona. 
Ormai libero, 
facevo di nuovo l’avvocato. 
E Pippo venne al mio studio e, 
piangendo come un bambino, 
confessò che almeno tre volte 
s’era avvicinato al carcere 
per visitarmi. 
Non aveva avuto il coraggio di presentarsi 
per timore che lo rimproverassi. 

Poi andai in Francia. 
Poi tornai, fui arrestato di nuovo, 
processato di nuovo, condannato di nuovo, 
stavolta all’ergastolo e allora…
Allora lui uscì dal Partito Fascista 
e a quarantun anni morì. Di crepacuore.

Cosa significa morto di crepacuore?

Significa morto di crepacuore. 
Di dolore. Di strazio. Era sano, 
lo colse un infarto cardiaco. 
E il pensiero di non essermi 
riconciliato con lui 
mi schiantò in modo tale 
che in breve tempo diventai canuto. 
Una sera il direttore del carcere 
mi osserva sbalordito ed esclama: 
«Cosa è successo, Pertini?». 
«Perché?», rispondo. 

«Perché avete i capelli bianchi, Pertini». 
Ecco la storia di mio fratello Pippo. 
E se Pippo ha commesso un errore, ha pagato. 
E io con lui… Io con lui… 
E poi avevo un altro fratello 
che si chiamava Eugenio. 
Tra me ed Eugenio c’erano solo 
due annidi differenza. 
Così crescemmo insieme: 
al collegio insieme, 
al ginnasio insieme. 
Poi lui andò in America e, quando tornò, 
io ero in carcere da tanto tempo. 

Ho ricostruito per caso 
la sua via crucis. 
L’ho ricostruita dopo la Liberazione, 
attraverso un maresciallo 
dei carabinieri di Genova. 
Venne da me e mi chiese: 
«Lei è parente di Eugenio Pertini?». 
«Sì, è mio fratello.» 
«Ah! Ora capisco tutto.» 
E mi raccontò che un giorno del 1944 
aveva incontrato Eugenio 
egli aveva rivolto la stessa domanda: 

«Lei è parente di Sandro Pertini?». 
«Sì, è mio fratello.» 
«Ah! Devo darle una brutta notizia. 
Suo fratello è stato fucilato 
a Forte Boccea l’altra mattina.» 
Glielo aveva detto convinto che fosse vero: 
io ero stato condannato a morte, con Saragat, 
e la notizia della mia evasione 
non era giunta in Liguria. 

Così Eugenio era caduto su una poltrona, 
come svenuto, e… Vede, allo stesso modo 
in cui Pippo non capiva nulla di politica, 
Eugenio non aveva mai fatto della politica. 
Oltretutto era un po’claudicante. 
Ma dopo quella notizia si iscrisse 
al Partito comunista 
e si abbandonò a una attività sfrenata. 
Fu arrestato mentre attaccava 
manifesti contro i nazisti. 
Fu picchiato selvaggiamente, 
poi condotto al campo di Bolzano 
dove gli chiesero di nuovo: 

«Sei parente di Sandro Pertini?». 
«Sì, era mio fratello.» 
«Era?» 
«Me l’hanno fucilato.» 
«Macché fucilato! Dirige la Resistenza.» 
E lui si mise a piangere di gioia, 
m’hanno raccontato, e da quel momento 
si comportò ancora meglio. 
Lo portarono a Flossenbürg e… 

Questo è il destino, cara Oriana, il destino! 
Perché sono stato a Flossenbürg, 
e ho fatto i calcoli, e ho scoperto 
che nello stesso momento 
in cui alla testa dei partigiani 
inneggiavo alla libertà riconquistata in Milano… 
alla stessa ora dello stesso giorno… 
25 aprile 1945… 
mio fratello veniva fucilato 
nel campo di Flossenbürg… 
Mio fratello Eugenio e… prima Pippo e poi Eugenio 
e…Oriana… mi creda… abbiamo pagato… Oddio!

Pertini, mi perdoni, Pertini. 
Mi perdoni d’averla lasciata parlare di questo.

Non importa. Non bisogna aver paura di piangere. 
Non bisogna frenare le lacrime quando vogliono uscire. 
Un uomo deve saper piangere. 
Ma lei deve capire 
perché uso così spesso il verbo pagare.

  Tratto da: «L'Europeo» 1973